L’evasione dei dazi a livello globale è stimata tra il 20% e il 30% delle attuali entrate doganali mondiali e, annidandosi nel sempre più diffuso commercio elettronico – che ormai rappresenta il 12% degli scambi economici internazionali – è attuata con sistemi di contrabbando sofisticati, per contrastare i quali le Autorità doganali si sono dotate di armi di controllo a distanza 4.0, di sistemi di intelligenza artificiale e di banche dati.
Poiché il fenomeno dell’evasione fiscale è in crescente aumento, il tema è stato sul tavolo della discussione nella conferenza Picard, conclusasi giovedì scorso a Skopje, in Macedonia, nell’annuale occasione di confronto tra l’Organizzazione mondiale delle dogane (Wco) e il settore privato, l’accademia e i think tank. Tra i numerosi approfondimenti presentati, particolarmente rilevanti sono state le ricerche sviluppate dalla facoltà di ingegneria dell’Università di Pechino che hanno dimostrato come l’evasione è fortemente concentrata in determinati settori e che le violazioni aumentano in corrispondenza dell’incremento del livello economico dei dazi all’importazione.
Alla luce di queste ricerche, è emerso che il maggior numero di irregolarità è commesso dagli operatori non Aeo (Operatore economico autorizzato), ossia da quelle imprese che non hanno richiesto la certificazione di affidabilità doganale. A tal proposito, è di estrema importanza per le imprese, ottenere il riconoscimento dello status di Aeo al fine di porsi in linea con il cambio radicale di filosofia dei controlli delle dogane, attuati non più con un monitoraggio dei beni (ormai difficile, visti i volumi dei traffici in costante crescita) ma mediante una preventiva verifica dell’affidabilità degli operatori, concentrando le risorse investigative su chi non è certificato.
A livello internazionale, inoltre, è emerso che la strada imboccata dalle autorità doganali per contrastare l’evasione consiste sempre di più nell’utilizzo di banche dati sul valore doganale dei prodotti. E invero, tali banche dati potrebbero rivelarsi potenzialmente rischiose anche per gli operatori che, pur agendo diligentemente, non sono sufficientemente «strutturati» dal punto di vista amministrativo.
Si segnala, infatti, che la Corte di cassazione, infatti, ha già bocciato alcuni strumenti recentemente utilizzati dall’Amministrazione per la determinazione del valore doganale, come la banca dati M.e.r.c.e., trattandosi di un sistema non contemplato dalla normativa doganale europea e nel quale sono raccolti soltanto «valori medi», riscontrati per prodotti rientranti nella medesima voce doganale di quelli oggetto di controllo, ma senza «fornire la certezza che si tratti dello stesso prodotto acquistato dall’importatrice» (Cass., sez. V, 27 settembre 2018, nn. 23244 e 23245, Cass., 25 gennaio 2019, n. 2214 e 2216)