Una bussola per orientarsi nella materia più complessa del momento è stata fornita nei giorni scorsi dall’Agenzia delle dogane, con la “Guida per lo sdoganamento delle mascherine”. La difficoltà nel distinguere le varie norme previste per ciascuna categoria di dispositivo nasce dal fatto che sono oggetto, come spesso accade, di tante diverse regole e certificazioni che, al momento dello sdoganamento, si manifestano in tutta la loro cavillosità.

Il primo punto di partenza è che si differenziano, anche dal punto di vista doganale, tre diverse tipologie di prodotto: la mascherina chirurgica, i dispositivi di protezione individuale (detti anche Dpi) e le mascherine generiche. Mentre, ormai, tutti abbiamo imparato a riconoscere i Dpi, ossia le mascherine con filtro, detti anche FFP2 e FFP3, più complesso è il confine tra le altre due categorie. Le mascherine generiche, infatti, all’apparenza si confondono con le chirurgiche, da cui si distinguono esclusivamente per ragioni di tipo autorizzativo, perché le generiche (a differenza delle chirurgiche) non sono state né testate, né certificate.

Per le mascherine chirurgiche, i problemi maggiori si pongono in tutti i casi in cui manchi, o non sia valido, il marchio CE: in queste ipotesi, per lo sdoganamento è necessario inviare un’apposita autocertificazione all’Istituto superiore di Sanità e, in attesa della pronuncia, sdoganare il prodotto “condizionatamente”, ossia con l’obbligo di tracciabilità e il divieto di metterlo in commercio. La Guida dell’Agenzia chiarisce che se il prodotto non ottiene la certificazione viene declassato a “mascherina generica”. Tuttavia, se il prodotto non può essere rietichettato come generico (ad esempio perché il finto marchio CE non può essere rimosso, in quanto impresso sul tessuto) deve essere distrutto. Discorso analogo vale per i Dpi, per i quali, in assenza o invalidità del marchio CE, va richiesta autorizzazione all’Inail per la messa in commercio. Anche in questa ipotesi, dopo aver ottenuto lo “sdoganamento condizionato”, se il prodotto non ottiene né la certificazione, né può essere rietichettato come generico, va distrutto.

Un discorso a parte viene fatto per le mascherine generiche, le quali possono essere sdoganate soltanto se soddisfano le condizioni di produzione e messa in commercio richiamate nella Circolare MISE 107886 del 23 aprile 2020. In particolare, le generiche devono rispettare le seguenti condizioni: a) non devono recare la marcatura CE; b) le confezioni devono indicare espressamente che non si tratta di una mascherina chirurgica o di un Dpi; c) devono essere accompagnate dall’avvertenza che indichi chiaramente il loro non essere idonee a garantire la protezione delle vie respiratorie di chi le indossa e che non sono utilizzabili quando sia prescritto l’uso di mascherine chirurgiche o Dpi (per uso sanitario o sui luoghi di lavoro); d) il produttore deve dichiarare che non arrecano danni e non determinano rischi aggiuntivi per gli utilizzatori.

La guida chiarisce che, se tali condizioni non sono rispettate il prodotto, se può essere rietichettato, può essere solo “sdoganato condizionatamente” con prescrizioni, obbligo di tracciabilità e con l’impegno a non metterlo in commercio prima di aver sostituito le etichette non a norma con quelle a norma. Deve essere distrutto, invece, il dispositivo per il quale non è possibile un cambio di etichetta.