Con la sentenza C-75/20 il 22 aprile 2021 la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che le spese di trasporto non devono essere aggiunte nuovamente nella determinazione del valore in dogana, se sono già incluse nel prezzo del bene.

Si tratta della prima sentenza della Corte di giustizia, a quanto consta, a intervenire sul tema degli Incoterms, i quali sono schemi contrattuali generali, liberamente adottabili dalle parti, elaborati dalla Camera di commercio internazionale di Parigi. Gli Incoterms definiscono gli elementi fondamentali di una compravendita internazionale, individuando il momento del passaggio delle responsabilità inerenti il bene oggetto di compravendita: tale inquadramento riveste un rilievo importantissimo per le parti del contratto, esonerandole dalla stesura di clausole negoziali complesse, anche in considerazione della diversità degli ordinamenti giuridici di appartenenza e della relativa terminologia.

Da rimarcare che, considerata la natura privatistica di tali pattuizioni, che le parti sono libere di adottare o meno, nessun riferimento agli Incoterms è presente nella normativa doganale o nella disciplina Iva.

Nella sentenza in esame, muovendo dalla nozione di “prezzo stabilito dalle parti”, quale riferimento fondamentale per la determinazione del valore doganale, la Corte di giustizia attribuisce rilievo alla pattuizione negoziale, intervenuta tra le parti del contratto di fornitura internazionale, all’inclusione delle spese di trasporto, fino alla frontiera europea, nel prezzo per la fornitura.

L’articolo 71 del Codice doganale dell’unione (Cdu) prevede, in generale, l’obbligo, in sede di importazione, di integrare il prezzo del prodotto con il costo delle spese di trasporto, per attribuire un valore che risponda a quello della reale transazione. La sentenza in epigrafe specifica, tuttavia, che tale integrazione è erronea nel caso in cui il prezzo stesso del bene già comprenda, non fittiziamente, questa specifica componente.

Il giudizio rinviato alla Corte sita in Lussemburgo aveva ad oggetto l’importazione in Lituania di diversi quantitativi di acido solforico prodotto in Bielorussia. Il contratto concluso tra produttore e importatore prevedeva, in particolare una resa Incoterms DAF, detta anche “reso frontiera”. L’opzione per la resa DAF comporta che tutte le spese di trasporto sono a carico del fornitore fino alla frontiera del Paese di importazione, luogo di consegna convenuto.

Nel caso in esame, il valore doganale delle merci concretamente dichiarato nell’importazione includeva, dunque, i soli importi effettivamente specificati dalle fatture emesse, senza sommare le spese di trasporto, poiché già incluse nel prezzo.

In seguito ad una verifica operata dall’autorità doganale lituana, questa componente veniva tuttavia aggiunta al prezzo dichiarato, con contestuale incremento del dazio all’importazione, Iva e sanzioni annesse, ritenendosi necessario includere nel valore doganale anche le spese di trasporto sostenute dal produttore fino al luogo di introduzione delle merci nel territorio Ue.

In seguito ad un lungo contenzioso, la Corte amministrativa suprema di Vilnius ha rinviato alla Corte di Giustizia la causa, chiedendo di conoscere se gli artt. 70, paragrafo 1 e 71 paragrafo 1, lettere e) ed i) del Cdu impongano l’aggiunta delle spese di trasporto nel caso in cui, sebbene le condizioni di vendita prevedano che il prezzo delle merci sia comprensivo del trasporto, le spese sostenute a questo fine siano superiori al prezzo di cessione del bene.

A questa domanda la Corte risponde in senso negativo. Il diritto doganale dell’Unione in questa materia persegue l’obiettivo di assicurare che il valore dichiarato all’importazione rifletta quello economico delle merci importate, escludendo che concorrano componenti arbitrarie o fittizie.

Con riferimento alle merci importate, il valore della transazione spontaneamente convenuto dalle parti rappresenta la base primaria per la determinazione del valore in dogana. Tutti gli elementi che possono essere sommati sono solo utili a integrare il valore di partenza, nel caso in cui questo non rifletta il valore economico reale delle merci, inclusivo anche delle spese di trasporto (art 71 Cdu; art. 138 reg. di esecuzione UE 2015/2447). Non deve quindi essere reso operativo in casi, come quello in esame, in cui il prezzo pagato dalle parti corrisponde al vero valore della transazione.

Dal momento che il prezzo dichiarato risponde al valore reale della transazione, e questo già include le spese di trasporto, queste non possono, quindi, essere aggiunte al valore doganale dichiarato in dogana.

Ad avviso della Corte, un giudizio in senso opposto avrebbe portato l’importatore a pagare due volte le stesse spese per le merci importate.

La Corte risponde, infine, alle osservazioni presentate dalla Commissione europea nella discussione dell’udienza, le quali prospettavano un rischio che l’operatore economico si sarebbe potuto avvalere della propria forza contrattuale per sottrarsi agli obblighi stabiliti dalla normativa europea per la determinazione del valore delle merci.  La Corte di Giustizia ha tuttavia escluso che possa verificarsi tale criticità, posto che, nel caso di specie, il prezzo dichiarato all’importazione corrisponde al reale valore economico della transazione. Questa componente necessita, quindi, di essere analizzata più approfonditamente rispetto alla sola inclusione o meno delle spese di trasporto nel prezzo.

I giudici chiariscono inoltre che sebbene un operatore economico non possa sottrarsi al diritto dell’Unione invocando i propri obblighi contrattuali, la determinazione del valore in dogana di merci importate non può tuttavia essere stabilita in maniera astratta. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, essa trova il suo fondamento nelle condizioni in base alle quali è stata effettuata la vendita di cui trattasi, anche se queste differiscono dagli usi commerciali o possono essere considerate inabituali per il tipo di contratto considerato. In tal senso, la Corte ha dichiarato che, al fine di valutare se il valore in dogana delle merci importate rifletta il loro valore economico reale, occorre prendere in considerazione la “situazione giuridica concreta” delle parti del contratto di vendita. Pertanto, non tener conto delle condizioni di vendita nell’ambito della determinazione del valore in dogana di tali merci sarebbe non solo contrario alle disposizioni dell’articolo 70, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione, ma condurrebbe inoltre a un risultato che non consente di riflettere il valore economico reale di dette merci.

Sotto questo profilo la sentenza afferma un chiaro principio di diritto: viene infatti ribadita la necessità che la determinazione del valore all’importazione non sia fatta in modo astratto, ma trovi fondamento nelle condizioni di vendita effettive, anche se considerate inabituali rispetto al tipo di contratto. Per analizzare il valore economico reale dell’operazione bisogna, inoltre, considerare la concreta situazione delle parti contrattuali, anche con riferimento alle condizioni di vendita.

Non rispettare questo principio, chiaramente corroborato con la presente decisione, porta infatti ad attribuire un valore doganale che non riflette il valore economico reale delle merci, in aperta violazione con il diritto europeo (art. 70, par. 1 Cdu).