Il lavoro effettuato in smart working in Italia da soggetti residenti all’estero produce reddito da lavoro autonomo tassato ai sensi della normativa italiana.

È questo il contenuto della risposta ad interpello dell’Agenzia delle entrate 27 settembre 2021, n. 626, con la quale è stata affermata la necessità di valutare l’effettiva località in cui il lavoro è stato effettuato, più che lo Stato di residenza formale o la nazionalità del datore di lavoro.

Nello specifico, l’Amministrazione finanziaria risponde alla richiesta di un contribuente, residente in Lussemburgo, che nell’ultimo anno, a causa della crisi pandemica, ha esercitato la propria attività lavorativa in modalità agile dall’Italia. Il contribuente richiedeva l’opinione dell’Agenzia sulla località in cui si dovesse ritenere di aver prodotto tale reddito, tra quello di residenza fisica e quello di residenza fiscale.

L’Agenzia specifica, pertanto, il valore assunto dalla presenza fisica nel territorio ai fini della produzione del reddito da lavoro dipendente.

Per comprendere in quale Paese tassare tale reddito la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Lussemburgo (ma il termine è utilizzato per tutti i trattati internazionali sul tema) ritiene infatti dirimente il “luogo di prestazione” dell’attività lavorativa.

In quest’ottica l’Agenzia ritiene che, sulla scorta di quanto già indicato in sede OCSE, che tale concetto debba essere concretamente declinato come il luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente nel momento in cui presta la propria attività lavorativa.

Sebbene il soggetto sia formalmente residente all’estero, il reddito prodotto tramite lavoro agile dall’Italia durante l’ultimo anno necessita, pertanto, di essere tassato anche in Italia.

Per evitare la doppia imposizione il contribuente potrà esclusivamente richiedere nel Granducato un credito di imposta per la già somma assolta in Italia.