I modelli organizzativi aziendali 231 devono aggiornarsi, prendendo in considerazione anche le condotte che possono comportare la sottrazione dei beni importati alla fiscalità doganale. È questo l’effetto del d.lgs. 75 del 2020 con cui, un anno fa, il Parlamento Italiano si è adeguato alla Direttiva europea “Pif” (n. 2017/1371/Ue) relativa alla lotta contro i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.

Nello specifico, la Direttiva “Pif” ha interessato diversi aspetti della legislazione doganale. In primo luogo, infatti, la riforma interviene nel Testo unico delle leggi doganali (Tuld), reintroducendo alcuni reati che erano stati recentemente depenalizzati, come il delitto di contrabbando semplice.

Sebbene l’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016 avesse introdotto una depenalizzazione generale per le violazioni, non previste dal codice penale, punite con la sola pena della multa o dell’ammenda, in conseguenza al recepimento della Direttiva “Pif” oggi restano depenalizzati solamente le fattispecie di contrabbando con un’evasione dei dazi inferiore o uguale a 10 mila euro.

Il reato di contrabbando, disciplinato dall’art. 282 Tuld, è perfezionato con il mancato pagamento dei diritti di confine (o al semplice tentativo) in conseguenza all’importazione di merci nel territorio dello Stato. Sono definiti “diritti di confine” le somme che la dogana è obbligata a ritenere in forza della legge per il semplice presupposto dell’obbligazione doganale, come i dazi di importazione e esportazione, l’Iva all’importazione o le accise.

Per il compimento di tale delitto non è però sufficiente la mera condotta, è infatti necessario che l’omesso pagamento dei dazi sia accompagnato dal dolo dell’agente ai sensi dell’art. 43 del codice penale, ossia la volontarietà del comportamento, dal nesso di causalità (anche solo potenziale nel caso di semplice tentativo) e l’astratta offensività della fattispecie. L’assenza di anche solo uno di questi elementi determina l’irrilevanza criminale dell’operazione.

Oltre alla nuova rilevanza penale del contrabbando semplice, la Direttiva “Pif”, mediante il d.lgs. 75 del 2020, ha, inoltre, determinato l’inserimento dei reati doganali tra i reati presupposto per l’applicazione del d.lgs. 231 del 2001.

Le imprese italiane che operano frequentemente con l’estero dovranno, pertanto, procedere a una nuova mappatura dei rischi e all’integrazione del modello organizzativo 231, per mitigare i rischi di potenziale commissione del reato di contrabbando.

La riforma successiva alla Direttiva “Pif”, facendo seguito all’inserimento dei reati tributari nella lista dei reati presupposti che determinano la responsabilità diretta della Società, include in tale elenco anche i reati doganali, quali il contrabbando semplice e aggravato (art. 25-sexiesdecies, d.lgs. 231 del 2001).

Tra le fattispecie che determinano la responsabilità della Società sono stati, dunque, inseriti tutti i reati di contrabbando sanzionati nel Tuld con una multa da 10 mila a 100 mila euro.

Per tali fattispecie, l’ente può essere tenuto a pagare un importo fino a 309.800 euro, che può essere addirittura raddoppiato nel caso in cui il reato presupposto sia punito con una multa superiore a 100 mila euro.

Il nuovo articolo 25-quinquiesdecies del d.lgs. 231 del 2001, al comma 1-bis introduce, inoltre, tra i reati di più grave rilevanza, anche quelli commessi nell’ambito di sistemi transfrontalieri fraudolenti al fine di evadere l’Iva per un importo non inferiore ai 10 milioni di euro.

Nel caso in cui un’impresa fosse ritenuta responsabile di tale comportamento, potrebbe vedersi irrogata una sanzione pecuniaria compresa tra un minimo di 77.400 ad un massimo di 619.600 euro.

Oltre alle pene pecuniarie, nel caso in cui venga riconosciuta la responsabilità diretta della Società, potrebbero venire comminate anche diverse sanzioni accessorie, quali la confisca delle somme o dei beni, la revoca delle diverse licenze e autorizzazioni, oppure il divieto assoluto di contrattare con la Pubblica Amministrazione.

Altre sanzioni interdittive previste sono l’esclusione dalla possibilità di fruire di agevolazioni, finanziamenti e contributi e il divieto di pubblicizzare i propri beni o servizi.

Tale introduzione rende evidente il rischio che numerose imprese possano vedersi comminate sanzioni assolutamente rilevanti, a causa di comportamenti negligenti nel rapporto con la Dogana.

Occorre, pertanto, prestare particolare attenzione ai temi doganali, a maggior ragione, per le imprese a vocazione internazionale, che si occupano quotidianamente di transazioni con partner extraeuropei.

Per limitare ogni rischio legale si rende opportuna una ancora più approfondita attività di compliance aziendale per le operazioni doganali, con la necessità di aggiornare il proprio modello 231 e il proprio risk assestment alle nuove fattispecie inserite tra i reati presupposto per l’applicazione della 231, al fine di individuare più facilmente le diverse aree di rischio risultanti dalla riforma.

Questa attività deve però essere coadiuvata dalla necessaria formazione del personale sugli elementi fondamentali inerenti la fiscalità doganale, la corretta selezione dei propri fornitori extra-Ue, nonché dei soggetti che la rappresentano nei confronti dell’Agenzia delle dogane (rappresentanti doganali).

A tal fine riveste un’importanza centrale l’ottenimento della certificazione AEO (Authorized Economic Operator), giacchè un’azienda che ha già ottenuto l’autorizzazione AEO possiede già procedure interne e presidi, finalizzati alla compliance doganale e alla prevenzione del reato di contrabbando.

Occorre, infine, verificare il concreto operato dei soggetti terzi a cui la Società si affida per espletare le procedure doganali, con particolare attenzione alla correttezza dei pagamenti da questi effettuati e dei documenti presentati in Dogana.

Tutte queste attività, seppur finora scarsamente attenzionate dalla compliance aziendale diventano ora necessarie per prevenire i rischi di contestazione della responsabilità correlata al d.lgs. 231 del 2001.