L’Agenzia delle dogane non può contestare l’origine delle merci importate soltanto sulla base di un’indagine “a tavolino” dell’Olaf. Se l’inchiesta dell’Ufficio europeo antifrode si fonda unicamente su un incrocio di dati statistici, la contestazione dell’origine doganale è illegittima e la Dogana non può pretendere il pagamento del dazio antidumping. È questo il principio espresso da numerose sentenze, che hanno ritenuto non sufficiente un Report Olaf inerente una vasta platea di produttori per contestare l’origine della merce, essendo necessario un accertamento puntuale sulle operazioni contestate (Corte Giust. trib. II grado del Veneto, 23 novembre 2022, n. 1361; Corte Giust. trib. II grado della Lombardia, 9 giugno 2022, n. 2422; Corte Giust. trib. II grado della Lombardia, 9 febbraio 2022, n. 536).
A partire dal 2019, numerose società hanno importato tubi di acciaio senza saldatura dichiarati di origine indiana, che, secondo la Dogana, avrebbero invece avuto origine cinese, con conseguente applicazione di un dazio antidumping pari al 71,9% del valore dei prodotti. L’Agenzia delle dogane, in sede di rettifica, non ha però fornito nessuna prova a dimostrazione dell’origine cinese dei beni importati, limitandosi a fondare la propria contestazione unicamente su un’indagine Olaf riguardante migliaia di operazioni e numerosi importatori europei, ormai noto alle numerose imprese che importano tubi di acciaio dall’India.
Le sentenze in commento affermano che l’Amministrazione doganale deve fornire una prova adeguata, riferita alle specifiche operazioni contestate, alle imprese, ai luoghi di produzione e ai flussi delle merci oggetto di importazione.
Tali pronunce ribadiscono un principio già affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui le indagini Olaf possono fondare un accertamento doganale soltanto se si riferiscono alle operazioni contestate dall’Agenzia delle dogane (Cass., sez. V, 31 luglio 2020, n. 16469). Occorre, pertanto, verificare, caso per caso, se le conclusioni dell’Olaf siano sufficienti a giustificare una rettifica dell’origine dei prodotti importati.
Ad avviso dei giudici, l’Olaf ha svolto un’analisi “a tavolino” sulla base di dati generali, inerenti tutte le importazioni di tubi di acciaio dalla Cina all’India, senza tuttavia confrontare i dati statistici elaborati con i dati reali. Secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, l’assenza di una verifica fisica presso lo stabilimento del produttore non consente di accertare, nel concreto, l’origine della merce contestata.
Da segnalare che la Commissione europea aveva svolto un’inchiesta sulle stesse imprese indiane produttrici di tubi, svolgendo una specifica attività di controllo in loco presso gli stabilimenti, per accertare le attività concretamente svolte e il livello di lavorazione del prodotto, confermando l’origine indiana dei prodotti oggetto di contestazione (Reg. di esecuzione Ue n. 2017/2093).
L’indagine sul singolo caso concreto è stata ritenuta più attendibile rispetto alla verifica “a tavolino”, che in questo caso si è limitata a un incrocio di dati statistici, senza nessun accertamento diretto sui dati reali.