L’onere della prova non è integrato da parte dell’Ente impositore se non trova adeguato supporto nella documentazione prodotta da entrambe le parti in causa. È questo il principio emesso dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, con la sentenza 25 gennaio 2023, n. 56, che attua la nuova regola del fatto incerto applicabile nel processo tributario.

La vicenda all’esame dei giudici tributari liguri traeva origine dalla notifica di alcuni avvisi di accertamento da parte dell’Amministrazione nei confronti della società ricorrente. Quest’ultima era qualificata dall’Ente impositore come società “di comodo” esterovestita con sede danese, ma con operatività nel territorio italiano, costituita al fine di intestare in Danimarca beni patrimoniali non produttivi di profitti per la ricorrente, ma utilizzati allo scopo di non figurare nel suo patrimonio personale e al fine di evitare una tassazione sfavorevole.

La Corte di Giustizia di II grado ha accolto l’appello della società, in quanto ha ritenuto generica la tesi dell’Ufficio e che la stessa non trovasse adeguato supporto nella documentazione prodotta da entrambe le parti in causa. In particolare, l’Agenzia non aveva dedotto elementi tali da dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni, limitandosi a semplici affermazioni in supporto della propria tesi, senza spiegarne le motivazioni.

La Corte di appello nella sentenza ha richiamato la nuova disciplina sull’onere della prova nel giudizio tributario (art. 6, legge 31 agosto 2022, n. 130, che ha introdotto all’art. 7, decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, il comma 5 bis). Quest’ultimo dispone che l’Amministrazione deve provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato e che il giudice deve fondare la propria decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio; nel caso in cui la prova della contestazione fiscale manchi o risulti contraddittoria o se risulti comunque insufficiente a dimostrare in modo circostanziato e puntuale le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva, il giudice annulla l’atto impositivo impugnato.

Attualmente, dunque, il nuovo comma 5-bis delinea un criterio opposto rispetto a quanto previsto dall’impostazione originale del processo tributario: se il giudice non è riuscito, sulla base della sola istruttoria, a trarre elementi sufficienti a formare il suo convincimento, preso atto dell’incertezza, deve risolvere la questione a favore del contribuente, annullando l’atto impositivo.

In un primo momento, la portata applicativa di questa disposizione è stata fraintesa dalla stessa Corte di Cassazione, la quale ha erroneamente negato che essa apporti un onere probatorio diverso e più gravoso rispetto al passato (ordinanza 27 ottobre 2022, n. 31878).

In senso conforme alla sentenza pilota della CGT di II grado della Liguria, si è espressa la Corte di Giustizia tributaria di II grado dell’Emilia Romagna, con la sentenza 27 febbraio 2023, n. 294 e la Corte di Giustizia tributaria di I grado di Reggio Emilia, con la sentenza 20 aprile 2023, n. 67.

Con tale ultima pronuncia, il giudice ha annullato l’atto impugnato dalla società ricorrente, rilevando che l’Agenzia, ai sensi del novellato art. 7 comma 5-bis, non ha fornito un’adeguata base probatoria in merito alle ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.