Con l’introduzione, a partire dal prossimo 4 luglio, dei nuovi dazi provvisori sulle importazioni di auto elettriche cinesi prende avvio una nuova fase dei rapporti con la Cina, che potrebbe portare a una guerra dei dazi, dalle imprevedibili conseguenze per il nostro export.
Con il comunicato dello scorso 12 giugno, la Commissione europea ha annunciato l’introduzione di un dazio compensativo provvisorio compreso tra il 17,4% e il 38,1%, il quale si sommerà al normale dazio del 10% già applicato per le importazioni di veicoli elettrici. La misura introdotta rientra nell’ambito di una disciplina giuridica prevista a livello internazionale dalle regole Wto e, in Europa, dal regolamento UE 1037/2016 e consiste nella possibilità di introdurre dazi compensativi, al fine di eliminare gli effetti degli aiuti economici forniti da un Paese estero a favore di determinate imprese. Si tratta dunque di misure di difesa commerciale finalizzate a neutralizzare le sovvenzioni di Stato concesse a beneficio di aziende che esportano verso l’Unione europea. L’inchiesta che ha condotto all’adozione dei dazi è nata da un’indagine, durata nove mesi e avviata d’ufficio dalla Commissione, nei confronti di una serie di produttori cinesi; la diversa misura dei dazi è commisurata al tipo di sussidio ricevuto.
Questa iniziativa solleva due temi di particolare importanza, su cui si impone una riflessione. In primo luogo, i dazi, rappresentando un costo per le imprese che importano, verranno inevitabilmente ribaltati sul consumatore, incrementando il costo delle auto elettriche. Le nuove tariffe andranno a penalizzare gli automobilisti più responsabili, che orientano le loro scelte di acquisto ponendo in primo piano il minore impatto ambientale per la collettività e sobbarcandosi gli svantaggi attuali della mobilità elettrica, quali la scarsità di colonnine, i costi energetici, i tempi di ricarica e i costi delle batterie elettriche. E’ probabile che l’aumento dei prezzi disincentiverà molti consumatori e questo proprio in una fase di transizione epocale, considerato che la Commissione europea ha deciso di mettere al bando entro il 2035 le auto a benzina e diesel. Con il rischio che gli incentivi pubblici per le auto elettriche siano destinati ad alimentare anche i maggiori costi dei nuovi dazi europei.
Un secondo aspetto su cui ragionare ha una prospettiva più ampia e riguarda gli svantaggi nell’intraprendere una guerra dei dazi con la Cina, la quale ha già annunciato l’intenzione di avviare analoghe contromisure sui prodotti europei. A fianco delle già dichiarate iniziative in sede internazionale, la Cina ha prontamente messo sotto indagine alcuni prodotti alimentari, come la carne di maiale, prevedendo a sua volta l’introduzione di nuovi dazi antidumping, che colpiranno principalmente i Paesi esportatori come Spagna, Danimarca e Paesi Bassi.
Un’escalation dalle imprevedibili conseguenze, che non lascerà immune il nostro Paese, uscito lo scorso dicembre dall’accordo sulla Via della seta ma che continua ad avere, nel Sol levante, un importante partner economico, verso il quale esportiamo non solo moda, ma anche chimica, farmaceutica, macchinari, arredo. L’avvio di un nuovo fronte geopolitico, dopo quello (obbligato) con la Russia, dovrebbe essere attentamente considerato, sempre tenendo presente che il 40% del nostro Pil nazionale deriva da esportazioni e che la Cina rappresenta, per l’economia italiana, il secondo Paese extra europeo di destinazione dell’export, subito dopo gli Stati Uniti.
Sara Armella
Articolo pubblicato da “Il Piccolo” quotidiano di Trieste