L’evasione dei dazi a livello globale è stimata tra il 20% e il 30% delle attuali entrate doganali mondiali, si annida nel sempre più diffuso commercio elettronico (che ormai rappresenta il 12% degli scambi economici internazionali) ed è attuata con sistemi di contrabbando sofisticati.
Questo il tema sul tavolo della discussione nell’annuale conferenza Picard, tenutasi a ottobre a Skopje, in Macedonia. Particolarmente rilevanti le ricerche sviluppate dalla facoltà di ingegneria dell’Università di Pechino che hanno dimostrato come l’evasione è fortemente concentrata in determinati settori e che le violazioni aumentano in corrispondenza dell’incremento del livello economico dei dazi all’importazione.
È emerso, inoltre, che il maggior numero di irregolarità è commesso dagli operatori non Aeo (Operatore economico autorizzato), ossia da quelle imprese che non hanno richiesto la certificazione di affidabilità doganale.
Anche a livello internazionale, la strada imboccata dalle autorità doganali per contrastare l’evasione consiste sempre di più nell’utilizzo di sistemi controllo a distanza 4.0, l’uso di intelligenza artificiale e di banche dati sul valore doganale dei prodotti. E invero, tali banche dati potrebbero rivelarsi potenzialmente rischiose anche per gli operatori che, pur agendo diligentemente, non sono sufficientemente «strutturati» dal punto di vista amministrativo.
Si segnala, infatti, che la Corte di Cassazione ha già bocciato alcuni strumenti recentemente utilizzati dall’Amministrazione per la determinazione del valore doganale, come la banca dati M.e.r.c.e., trattandosi di un sistema non contemplato dalla normativa doganale europea e nel quale sono raccolti soltanto «valori medi», riscontrati per prodotti rientranti nella medesima voce doganale di quelli oggetto di controllo, ma senza «fornire la certezza che si tratti dello stesso prodotto acquistato dall’importatrice» (tra le più recenti, Cass., 25 gennaio 2019, n. 2214 e 2216)