Sono 46 includendo il Regno Unito gli accordi di libero scambio conclusi dall’Unione europea, che permettono alle imprese dell’Unione di fruire di condizioni vantaggiose nelle operazioni verso 78 Paesi extra Ue

La competitività sui mercati esteri può crescere grazie alla conoscenza degli accordi di libero scambio, in forza dei quali un prodotto italiano può giungere in Paesi terzi, quali Svizzera, Canada o Giappone, senza scontare dazi alla frontiera e con semplificazioni per gli standard tecnici e documentali. L’Unione europea ormai da alcuni anni ha avviato con decisione la strategia dei Free trade agreements (FTA), trattati commerciali internazionali, istitutivi di unioni doganali, aree di libero scambio o di associazione, con l’obiettivo di sostenere e promuovere l’export delle imprese europee.

A differenza di altri accordi internazionali, i Free trade agreements sono idonei a determinare vantaggi diretti e misurabili per le imprese, in quanto permettono di azzerare o ridurre i dazi doganali all’importazione nei confronti dei prodotti originari dei Paesi partner, rappresentando un importante volano per la crescita dell’export e l’internazionalizzazione delle imprese europee.

Oltre all’Unione doganale con Andorra, Monaco, San Marino e Turchia e lo Spazio economico europeo con Norvegia, Islanda e Liechtenstein, l’Unione europea ha concluso numerosi accordi di libero scambio, che possiamo dividere tra trattati di vecchia e di nuova generazione.

Tra i FTA tradizionali va ricordato l’accordo tra Ue e Svizzera, il più vecchio attualmente in vigore, essendo stato sottoscritto nel 1972. Questo tipo di accordo si limita a definire l’annullamento dei dazi per i prodotti industriali, ma non riguarda il settore dei servizi, la proprietà intellettuale e i prodotti agricoli. Rientrano in questa definizione di FTA tradizionali anche i quattro accordi commerciali con i Paesi dell’America latina e dell’America centrale, così come le zone di libero scambio con otto Stati del Mediterraneo meridionale e del Medio Oriente (Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Israele, Palestina, Marocco e Tunisia) e con nazioni più strettamente collegate alla sua sfera di influenza, come i sei Paesi dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Kosovo).

Rientrano nella definizione di accordi di nuova generazione dell’Unione, invece, quelli di impostazione più recente, come i trattati conclusi, a partire dal 2011, con Corea del sud, Canada, Singapore, Giappone, Vietnam e Regno Unito, quest’ultimo in vigore dal 1° gennaio 2021. Si definiscono di ultima generazione in quanto hanno un perimetro di intervento più ampio rispetto a quello strettamente daziario, per esempio prevedendo l’armonizzazione di determinati standard tecnici dei prodotti, che rappresentano le c.d. “non tariff barriers”, ossia ostacoli e limitazioni alla penetrazione nei mercati esteri, ancora più insidiosi e occulti delle stesse tariffe doganali.

Questa nuova tipologia di accordi internazionali disciplina anche una serie di aspetti esclusi dell’ambito strettamente doganale, quali la tutela delle indicazioni geografiche dei prodotti, molto importante per il nostro settore agro-alimentare, il settore dei servizi, la tutela degli investimenti e della concorrenza e la possibilità di partecipare ad appalti pubblici, nonché standard ambientali e sociali.

Per le imprese a vocazione internazionale è diventato, quindi, fondamentale svolgere un’attività di approfondimento dei mercati di espansione, anche sulla base delle possibilità che i FTA aprono e delle condizioni in base alle quali sono accordate. Approfondendo la conoscenza delle agevolazioni daziarie, delle semplificazioni sugli standard tecnici e delle condizioni per definire un prodotto “di origine preferenziale” è possibile sviluppare la propria presenza nei mercati esteri.

La previsione di specifiche agevolazioni può rappresentare, infatti, un importante volano di crescita per le imprese che intendono accedere alle opportunità presenti in nuovi mercati.

Sotto questo profilo è importante rimarcare anche la c.d. certificazione AEO (Authorized economic operator), una certificazione internazionale, riconosciuta nella normativa doganale dell’Ue, che accorda notevoli vantaggi sia sotto il profilo delle facilitazioni che dei controlli. L’autorizzazione AEO attesta, infatti, l’affidabilità, legale, doganale e finanziaria dell’impresa, distinguendola positivamente rispetto agli altri operatori economici. Si tratta di un marchio internazionale di qualità, che certifica la competenza e l’elevata professionalità dei soggetti autorizzati, anche nei confronti dei partner esteri.

Tale status, disciplinato dagli artt. 38 e ss. del codice doganale dell’Unione (CDU) consta di due diversi tipi di autorizzazione: la prima, inerente il settore delle semplificazioni doganali, permette di ottenere benefici a livello procedurale (Aeoc). La seconda, invece, attribuisce agevolazioni in materia di verifiche sulla sicurezza (Aeos). Le due diverse autorizzazioni possono essere cumulate, così da fruire sia dei vantaggi relativi alle semplificazioni che delle facilitazioni nell’ambito delle verifiche (Aeof, authorized economic operator – full).

Nello specifico, per quanto riguarda i benefici c.d. diretti, gli operatori autorizzati godono di un trattamento favorevole in Dogana, essendo soggetti a minori controlli per le dichiarazioni presentate, con conseguente ottimizzazione nei tempi di consegna dei prodotti.

Da segnalare, per le imprese che esportano, i vantaggi della certificazione anche in Paesi con cui l’Ue ha concluso accordi di mutuo riconoscimento, come Regno Unito, Giappone, Stati Uniti, Svizzera e Cina, con la possibilità di ridurre l’incidenza dei controlli alla frontiera e le soste dovute a verifiche doganali sulla merce.