A distanza di tre settimane dall’introduzione dei nuovi controlli doganali alla frontiera UK, il bilancio non sembra positivo. Secondo il rapporto pubblicato dal National Audit Office, il Regno Unito ha investito circa 4,7 miliardi di sterline per introdurre il nuovo sistema di controlli alle frontiere. Un investimento che, tuttavia, non ha ancora raggiunto i risultati sperati.
Dal 30 aprile scorso, in particolare, sono entrati in vigore i nuovi controlli (di identità, fisici o documentali) sui prodotti agroalimentari provenienti dall’Unione europea, con l’obbligo di effettuare le ispezioni presso i posti di controllo frontalieri.
Già a gennaio, tuttavia, il Governo UK aveva segnalato la mancanza di personale, presso le autorità sanitarie portuali, per effettuare le ispezioni necessarie, evidenziando una situazione critica, che avrebbe reso difficile l’introduzione di verifiche puntuali e ordinate.
A ciò si aggiunge anche l’interruzione del sistema informatico che nelle scorse settimane ha causato veri e propri colli di bottiglia presso i posti di frontiera, causando fino a 20 ore di ritardi nei trasporti.
In questo contesto, cresce la preoccupazione delle imprese UK che importano prodotti agroalimentari dall’UE. Secondo le stime, a causa dei nuovi controlli, ogni azienda britannica sosterrà circa 225 mila sterline di spese. Un costo che, secondo il Regno Unito, è trascurabile rispetto all’esigenza di tutelare la biosicurezza del mercato britannico. Resta però la preoccupazione per un ulteriore aumento dei prezzi, che potrebbe far crescere l’inflazione di 0,2 punti percentuali nei prossimi tre anni.
L’allarme delle aziende britanniche si riflette anche sul nostro export. Il Regno Unito rappresenta, infatti, il sesto mercato di destinazione delle nostre esportazioni, per un valore di circa 26 miliardi di euro l’anno. In particolare, l’agrifood rappresenta un settore di traino: nel 2023 la vendita di prodotti agricoli e ittici si è attestata intorno ai 340 milioni di euro, mentre gli alimentari hanno fatto registrare un valore di quasi 3 miliardi, con un aumento del 9,5%, rispetto all’anno precedente.
L’Italia è il primo fornitore di pomodori e si posiziona al primo posto anche per l’export di pasta. Molto significative le esportazioni di formaggi e prodotti caseari, mentre per la categoria degli oli di oliva, l’Italia segue la Spagna, collocandosi in seconda posizione. Molto significative anche le esportazioni di vino: il nostro Paese ha assicurato nel 2023 circa il 19% degli approvvigionamenti del Regno Unito, in volume ed il 18% in valore, collocandosi, rispettivamente, in prima e seconda posizione.
La crescita dell’export agroalimentare dovrà fare i conti con il nuovo sistema di controlli, che impone nuove sfide al Regno Unito, ma anche ai suoi fornitori. Per gli esportatori è obbligatorio, infatti, ottenere un certificato da parte dell’autorità sanitaria del Paese di partenza.
La preoccupazione delle imprese UK è dovuta anche alla nuova tariffa (tra 10 e 29 sterline per ogni prodotto). Secondo DEFRA, le piccole importazioni di pesce, salumi, salsicce, formaggi e yogurt saranno soggette a tasse che potranno arrivare fino a 145 sterline, con un nuovo aggravio di costi per le imprese importatrici britanniche.