I provvedimenti di prassi emessi dalle Agenzie fiscali non costituiscono fonti di diritto e, pertanto, non vincolano né i giudici né i contribuenti, i quali non sono tenuti ad adempiere gli oneri ivi contenuti. Il principio più volte espresso dalla Corte di Cassazione (su tutte Cass. 27782/2018 ) trova particolare recepimento in tutti i casi in cui l’Amministrazione finanziaria tenti di escludere il contribuente da un’agevolazione tributaria, vincolandone la fruizione ad adempimenti non previsti dalla norma (conformemente Cass. 15482/2018).

La Suprema Corte ha di recente ribadito tale orientamento nella sentenza 3 marzo 2020, n. 5799.

Nel caso di specie  l’Agenzia delle entrate ha disconosciuto a una società l’incentivo della c.d. “Tremonti bis” (art. 4, comma 4, l. 383/ 2001) che in passato ha previsto una detassazione parziale del reddito di impresa derivante da investimenti in beni strumentali.

Ai fini dell’incentivo la norma definisce “investimento” la realizzazione nel territorio dello Stato di nuovi impianti, il completamento di opere sospese, l’ampliamento, la riattivazione, l’ammodernamento di impianti esistenti e l’acquisto di beni strumentali nuovi.

L’Agenzia ha preteso di subordinare la concessione dell’incentivo a ulteriori prescrizioni imposte da circolari amministrative relative al riconoscimento del criterio di “novità”  dei beni strumentali acquisiti. La Cassazione ha evidenziato come i contenuti dei provvedimenti di prassi delle amministrazioni fiscali abbiano valore vincolante unicamente a livello “interno”, cioè nei rapporti tra i diversi organi della stessa amministrazione. L’orientamento di Cassazione è, altresì, coerente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, la quale da tempo uniformato le proprie decisioni in materia di agevolazioni tributarie, rilevando sempre la necessaria proporzionalità degli adempimenti richiesti carico dei contribuenti per poterne usufruire.