In caso di una dichiarazione doganale che contenga merci diverse tra loro, la sanzione deve essere commisurata all’importo complessivo dei dazi non versati e non allo scostamento relativo ai singoli prodotti. Il principio da tempo atteso, espresso per la prima volta dalla Corte di Cassazione nella sentenza 12 novembre, numero 25509 ottenuta dal nostro Studio, è destinato ad avere larga applicazione e a determinare significative conseguenze sia sui numerosi processi in corso che sui futuri accertamenti doganali.

Nel caso-pilota esaminato dalla Cassazione, a fronte di un errore accertato, da cui derivavano poche centinaia di euro di diritti da riscuotere, la somma aritmetica delle sanzioni inerenti le singole partite di prodotti determinava una penalità di oltre 20.000 euro. E infatti, a partire dalla nota 9 febbraio 2015, numero 16407, l’Agenzia delle dogane ha ritenuto che, in caso di bollette doganali cumulative, ossia contenenti più prodotti (detti anche “singoli”), ogni partita di merce rappresenterebbe una dichiarazione doganale a sé stante. La conseguenza di tale impostazione porta a considerare che, in presenza di errori su più “singoli”, si applicherebbero tante sanzioni quante sono le violazioni, peraltro assai pesanti anche per errori di lieve entità, sulla base dell’articolo 303 del Testo unico della legge doganale.

Con la pronuncia citata viene anche espresso il principio secondo cui spetta al giudice nazionale rideterminare il corretto importo della penalità e, nel caso concreto, l’applicazione del criterio ha ridotto significativamente la sanzione dovuta, a un importo di poco superiore ai 1.000 euro.

La sentenza si richiama alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale riconosce il diritto degli Stati membri di disciplinare autonomamente la materia sanzionatoria doganale, senza però eccedere i limiti della proporzionalità imposti dalla normativa europea. Spetta al giudice nazionale determinare, con riferimento al singolo caso esaminato, l’entità della sanzione rispettosa di tali principi, tenuto conto che occorre colpire in maniera adeguata un comportamento contrario alla legge, senza tuttavia superare il confine di quanto strettamente necessario ad assicurare la legalità.

Ad avviso della Corte di Cassazione una diversa interpretazione dell’art. 303 evidenzierebbe un’evidente incompatibilità della norma rispetto ai prevalenti parametri comunitari e al principio costituzionale di eguaglianza dei contribuenti, che vieta soluzioni arbitrarie o manifestamente irragionevoli. La sentenza, dunque, accoglie il principio secondo cui, quando sono possibili diverse interpretazioni di una norma, occorre tenere conto dell’opzione che non la ponga in contrasto con parametri costituzionali.