Ai fini Iva, l’esportazione non può essere provata mediante documentazione di origine privata. È quanto precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 8 novembre 2022, n. 32771, che ha fornito alcuni importanti chiarimenti in merito all’onere della prova relativo alle cessioni di merce dall’Italia verso un territorio extra-Ue.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, una Società aveva invocato la non imponibilità Iva di alcune esportazioni, utilizzando come strumento di prova una scrittura privata autenticata da un notaio. Tale documento attestava il regolare arrivo negli Stati Uniti dei prodotti esportati e, secondo il ricorrente, era sufficiente a rendere irrilevanti eventuali errori formali compiuti, in fase di esportazione, nella compilazione delle dichiarazioni doganali.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha da tempo chiarito che non è possibile dimostrare la destinazione dei beni tramite documenti di origine privata, quali, ad esempio, fatture o scritture private autenticate.
Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha confermato che, per poter usufruire della non imponibilità Iva, è essenziale che l’uscita delle merci dal territorio doganale sia provata da apposita vidimazione della Dogana o dell’autorità pubblica dello Stato estero di importazione.
Un adempimento che risulta oggi totalmente digitalizzato, grazie all’avvenuta informatizzazione del visto d’uscita. Attualmente, infatti, la prova dell’uscita della merce dal territorio doganale dell’Unione europea è rappresentata dal messaggio elettronico trasmesso dall’Ufficio doganale di uscita all’Ufficio di esportazione tramite il sistema informatico doganale AIDA. Lo stato dell’esportazione e la presenza di tale messaggio sono consultabili inserendo il MRN (movement reference number) sul sito dell’Agenzia delle dogane nella sezione “Tracciamento di movimenti di esportazione o di transito (MRN)”.